Perché Femminismo e Capitalismo non possono coesistere

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La seguente è una versione leggermente modificata delle osservazioni di Nicole Aschoff, membro del comitato editoriale di Jacobin, pronunciate la settimana scorsa in un dibattito a Washington, DC presso il Cato Institute. L’argomento: “Il capitalismo aiuta o danneggia le donne?

La questione se il capitalismo sia un bene per le donne è una questione che sia le femministe che le non femministe hanno discusso a lungo. Ma ogni aumento di interesse per la questione è inserito in un contesto particolare. Quali sono, dunque, le condizioni del momento presente che incoraggiano un esercizio come questo?

Da un lato, il capitalismo è in crisi. Non necessariamente una crisi economica nel senso di una vera e propria recessione. Ma abbiamo visto più di un decennio di stimolo che include un salvataggio multimiliardario da parte delle banche centrali, anni di allentamento quantitativo e una nuova normalità di bassi tassi di interesse progettati dai governi per evitare che gli investitori si precipitino collettivamente da una scogliera.

Nonostante questi incentivi, i salari e la crescita economica rimangono stagnanti. Le aziende sembrano più interessate a tirare i dadi sul mercato azionario che non gli investimenti in mattoni e maltame. Nel frattempo, il capitalismo neoliberale – le norme, le idee e le politiche che sono alla base dello status quo degli ultimi quattro decenni – sta attraversando una profonda crisi di legittimità. C’è una diffusa perdita di fiducia nel governo, un calo di fiducia nel capitalismo e una rinascita del populismo sia a sinistra che a destra.

Un secondo punto di riferimento è la rinascita del femminismo nell’ultimo decennio, sia negli Stati Uniti che a livello globale. Questa rinascita ha assunto varie forme e ha abbracciato una serie di prospettive su come perseguire al meglio un programma femminista, ma è una caratteristica persistente del discorso pubblico, più recentemente con il movimento #MeToo.

La sconfitta di Hillary Clinton, sullo sfondo della crisi di legittimità del capitalismo neoliberale, ha messo in discussione il modello dominante del femminismo neoliberale – l’idea che gli obiettivi femministi sono meglio raggiunti da ogni donna che cerca di raggiungere una posizione di potere e successo nel capitalismo. Sempre più spesso le donne, in particolare le donne più giovani, chiedono un diverso tipo di femminismo che spesso ha sfumature o sfumature anticapitaliste. Secondo i sondaggi, circa la metà dei giovani adulti preferisce il socialismo al capitalismo, e secondo Pew, il 53 per cento dei sostenitori di Bernie Sanders sono donne.

E’ in questo contesto di crisi, che possiamo considerare come un momento di cambiamento piuttosto che come una rottura di per sé, che guardiamo avanti e ci chiediamo come le femministe dovrebbero orientare le loro posizioni e le loro lotte.

Dico di guardare avanti deliberatamente. Ora è il momento di valutare le vittorie conquistate duramente e di definire una strategia su come rendere possibile a tutte le donne di godere effettivamente di loro, e di spingere in avanti con nuove e concrete richieste che soddisfino gli obiettivi generali del femminismo.

Ma prima, al servizio della chiarezza, un paio di avvertimenti. Non parlo a nome di tutte le donne, ovviamente, ma non parlo a nome di tutte le donne di sinistra, o di tutte le femministe, o di tutte le socialiste, o di tutte le socialiste-femministe. Inoltre, ci sono molte critiche femministe al capitalismo. Date le restrizioni di tempo e la mia base di conoscenze, ne parlerò solo ad alcune di loro.

Chelsea Follett – il nostro moderatore, analista politico di Catone e direttore di Human Progress – è stato così gentile da fornire alcune domande orientative per la discussione.